Haputale è stata uno degli highlist del nostro viaggio in Sri Lanka:
piantagioni di te, cascate ghiacciate, gente sorridente, serpenti nel bagno...
tutto ma proprio tutto ha contribuito a rendere i nostri giorni nelle “highlands”
indimenticabili.
Certo che il serpente, bé il serpente si merita un post a parte!
Hai presente quando prendi il metro nell’ora punta e ci manca solo un
poliziotto giapponese che ti ficca dentro calci in culo? Ecco il nosotro
viaggio in treno per arrivare ad Haputale è stato un po’ così.
Ci siamo sentiti delle sardine in latta e
abbiamo comprovato che sì, il corridoio del treno è proprio duro. Ma più che il culo quello che ci fa male è che ci siam persi uno dei migliori paesaggi dello Sri Lanka
(fortuna che giorni dopo ci saremmo rifatti con la tratta Haputale-Ella).
Haputale è brutta eh, le cose come stanno: tanti troppi motorini, negozi
con poco fascino, polvere dapperttutto ma amarla non è per niente difficile. Il merito? È una terra di
piantagioni di te, e il te è verde, verdissimo. Più verde dell’erba del vicino.
Le piantagioni sono facili da visitare: basta salire su un bus scassinato a
più non posso, che dopo un’oretta di curve e preghiere varie (è incredibile come
anche un ateo possa ritrovare momentaneamente la fede in Asia) ti lascia in una
fabbrica di te. Noi abbiam scelto di non entrare, preferivamo vedere i campi dal vivo... il
prima possibile.
E cosí, rimorchiato un tuktuk che era una discoteca ambulante,
siamo saliti fino al Lipton Seat dove ci siam sparati una merenda che nemmeno
la regina Elisabetta col suo miglior te delle cinque s’è mai fatta: una tazza
di te caldo, un pacchetto di biscotti al cioccolato (quelli low cost eh) e un samosa
piccantissima ci hanno accompagnato mentre facevamo le vesti di Thomas Lipton
(è qua che il proprietario di una delle più grandi aziende del te del mondo, si
sedeva a guardare il panorama e a controllare se le donne stessero lavorando o
spettegolando).
Le donne. Sì, perché sono ancora una volta loro quelle che fanno i
lavori duri.
Gli uomini si occupano di accalappiare turisti, di guidarli nei
posti turistici, di gestire bar e di giocare a carte.
Le donne invece
raccolgono tra i 15 ed i 20 kg di foglie di te al giorno. Ce ne vogliono un sacco di foglie di te per fare un kilo, infatti lavorano tutto il giorno, tutta la vita tra queste colline verdi in
quest’isola con forma di lacrima.
Lavorano tanto.
Non si lamentano.
Sanno che è la forma che hanno di poter vivere e non si vede
tristezza tra i loro volti scuri e i sorrisi bianchi. Anzi.
Suppongo che chi è nato “dovendo” vivere cosí non ha nemmeno tempo di
chiedersi “e perché io devo passare 10 ore al giorno a raccogliere foglie di te
mentre ‘sta qua ha la macchina fotografica in mano”. Il tempo lo impiegano a raccogliere le foglie del te che berrà in una tazza di porcellana qualche altra donna più fortunata.
credit: el pais |
Le nuvole correvano come pazze, il sole scaldava, il verde brillava e noi
sapevamo che stavamo vivendo un momento indimenticabile.
Poco più in là un gruppo di donne continuava a lavorare nei campi di te. Il
bottino? 2-3$ al giorno.
Deve esser stato molto suggestivo veder quelle colline!.. Sto leggendo un libro sull'India e mi viene da riflettere che nonostante i sorrisi della gente siamo davvero fortunati ad esser dall'altra parte dell'obbiettivo..
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