Ed il tempo si fermò.
Alle 08:15 del
6 Agosto 1945, gli orologi smisero di funzionare, di scandire il tempo, di
vivere e guardare al futuro: le loro lancette, ancorate a quell’istante
terribile sono una delle più evidenti prove dell’orrore che successe quel
giorno.
‘Little boy’,
la bomba atomica chiamata così perché non superava i 3 metri, fu sganciata dall’Enola
Gay’ nel cielo Giapponese, scoppiando 600 metri sopra il centro di Hiroshima.
Non solo le lancette smisero di funzionare in quell’instante: il 90% degli
edifici del centro della città fu polverizzato, cosí come furono polverizzati i
sogni, le speranze, i dubbi, le certezze di 80.000 persone che un istante
prima svolgevano la vita di sempre e un istante dopo non esistivano più (si stima
che le vittime della bomba atomica di Hiroshima sono state più di 250.000).
Quelle di
Hiroshima sono le vittime della pazzia (in)umana, le vittime di una guerra che
con loro non aveva niente a che fare, un po’ come succede quasi sempre: quelli
sopra decidono, quelli sotto ne pagano le conseguenze.
Il Giappone
non stava certo vivendo un epoca pacifica: era nel bel mezzo della seconda
guerra mondiale, occupando (e straziando) vari paesi del Sudeste Asiatico e
combattendo con gli Stati Uniti. I bombardamenti non erano cosa nuova: varie
città giapponesi erano state colpite duramente però Hiroshima era sempre
scampata da questi attacchi. Curioso.
Soprattutto perché
all’epoca si trattava di un gran centro militare.
Ma gli
americani non se l’erano dimenticata, anzi. Era stata l’eletta. Il ‘Progetto
Manhattan’ era stato creato a sua misura, come se di un vestito funebre si
trattasse. Il motivo per cui Hiroshima (e Nagasaki) non vennero mai bombardate
era per poter studiare poi gli effetti catastrofici dello scoppio di una bomba
atomica, in una città normale, senza quindi altre variabili in gioco.
Quando la
bomba scoppiò il suo effetto di morte e distruzione si fece sentire polverizzando
istantaneamente tutto ciò che si trovava nel raggio di 2 km. Solo un paio di
edifici rimasero in piedi, tra i quali il famoso ‘Dome’, ormai simbolo di quell’istante
indimenticabile. Lo scenario era dantesco: polvere, rovine e morti viventi con
la pelle lacerata e l’impossibilità di capire cos’era successo. Un secondo
prima stai vivendo, un secondo dopo speri di morire il prima possibile.
I racconti dei
testimoni sono terribili, non potremmo mai capire cosa hanno provato in quei
momenti. Impossibile.
Yosuke Yamahata, il fotógrafo ufficiale dell’esercito Giapponese, arrivato a Nagasaki qualche giorno dopo lo scoppio della seconda bomba atómica raccontò:
“Era un vero inferno sulla terra. Quelli che a malapena erano sopravvissuti –con gli occhi bruciati e la pelle lacerata- camminavano sostenendosi con dei pali, aspettando aiuto. Non c’era nemmeno una nuvola che nascondesse i terribili raggi di sole di quell’agosto”
Yosuke Yamahata, il fotógrafo ufficiale dell’esercito Giapponese, arrivato a Nagasaki qualche giorno dopo lo scoppio della seconda bomba atómica raccontò:
“Era un vero inferno sulla terra. Quelli che a malapena erano sopravvissuti –con gli occhi bruciati e la pelle lacerata- camminavano sostenendosi con dei pali, aspettando aiuto. Non c’era nemmeno una nuvola che nascondesse i terribili raggi di sole di quell’agosto”
Gli effetti
della bomba atomica non sono stati solo immediati: migliaia di persone
morirono in seguito alle radazioni, negli anni successivi. Malformazioni, leucemie, malattie mai viste
prima sono il testimonio della pazzia della guerra, dell’inumanità di certi
uomini.
Una visita al
museo della pace di Hiroshima è quasi un obbligo, è impattante, ma necessario.
Durante la visita non sono riuscita a scattare molte fotografie, a volte direi
che son di troppo.
Questo è il primo post su Hiroshima, ne verranno altri perché la città oggi è tornata a sorridere :)
Questo è il primo post su Hiroshima, ne verranno altri perché la città oggi è tornata a sorridere :)
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