venerdì 10 luglio 2015

HONG KONG: PRIME IMPRESSIONI

38 gradi. Nell’aereo sapevo di non star bene, maledetta aria condizionata dei centri commerciali di Manila. 38 gradi che mi accompagnarono nelle prime 24 ore hongkonghiane. 38 gradi che ho diviso con Rober nella nostra minuscola stanzetta della Chungking Mansion. 38 gradi che durarono solo un giorno, come se il mio corpo sapesse che avevo bisogno di lui per godermi le 72 ore che mi aspettavano in questa nuova, pazza, verticale città. 38 gradi che, forse, mi hanno fatto delirare un po’, ed ecco qua il risultato: istantanee, sapori e rumori di un’isola única al mondo.  



Arrivare ad Hong Kong oggi, non è certo emozionante come lo era fino al 1998, quando gli aerei atterravano nel vecchio aereoporto di Kai Tak, nel cuore della città. Allora, quando l’aereo stava per sfiorare il suolo, avevi già sofferto un mezzo infarto per aver quasi dato il cinque alla signora che stava tendendo i panni nel suo balcone, e un altro mezzo per credere che stavi per vivere il tuo primo atterraggio d’emergenza tra i taxi bianco e rossi che ti ricordavano vagamente la croce rossa…

Hong Kong è la città verticale, la città dei neon, la città del moderno adattato all’antico, la cità delle mascherine bianche, la città dei centri commerciali, la città dei caratteri indecifrabili. Quante cose sei Hong Kong? E quante cose mi hai nascosto?


Non avevo mai visto qualcosa del genere: edifici che facevano solletico alle nuvole da quanto erano alti, strisce pedonali pestate da mille scarpe di mille tipi di mille colori di mille persone, l’odore del mercato notturno di Temple Street, il merchandising di Mao vicino a quello delle K-pop band, incensi che si mescolano al fumo delle pentole di zuppe tradizionali che si mescolano alle particelle evaporate di profumi super chic che provengono dai collo super chic delle asiatiche più chic che abbiamo mai visto. E poi le scale meccaniche più lunghe al mondo, uno skyline che farebbe impallidire persino Manhattan, i local hipster di Soho, cartelli che sbucano fuori come pop-up impazziti pieni di scritte che sembrano geroglifici asiatici, sguardi caldi, sguardi freddi, templi buddisti e taoisti vicino a Gucci, Prada e Versace. E ancora barche di legno che solcano le onde verdi vicino a ferry enorme, taxi che scivolano su un palcoscenico d’asfalto come ballerine, businessman in-gessati che entrano a edifici di cristallo ricoperti da impalcature di bambú, autobús a due piani che ricordano l’epoca coloniale e la statua di Bruce Lee che sembra fare l’occhiolino a Hollywood. Hong Kong è una giungla di cemento in un’isoletta di pescadori. È un’invasione di 7-eleven, Mc Donalds, Starbucks & co che cercano di arrancare le radici di quei local che per primi innamorarono il palato della città con i loro dumplings, i dim sum al vapore, il pesce alla griglia e i noodles fritti. 



A Hong Kong ti sentí parte di un tutto che realmente, ti fa sentire un nulla. Adoro le grandi città, ma mi rendono triste. Non so perché.
Tutto è nero e bianco poi all’improvviso scopri un dettaglio che ti riporta a una vita colorata. 

Colore e bianco e nero come il Victoria’s Peak e la Chungking Mansion.
Dal Victoria’s peak puoi avere Hong Kong, letteralmente, ai tuoi piedi. Pochi posti sono stati capaci di emozionarmi tanto: per un momento ero l’invisibile padrona di un milione di luci, strade, sguardi e pensieri, come se la città fosse una marionetta che io stessa stavo muovendo.



Questa sensazione di potenza e invulnerabilità durò fino a che ci siamo rinchiusi in uno degli ascensori della Chungking Mansion…
Per arivare fino a quella latta di metallo abbiamo abbandonato la fashion Nathan Road siamo entrati in un girone dantesco fatto di venditori ambulanti, marche false, piastrelle sporche e sguardi curiosi. Ricordo di aver fatto una foto al cartello che, nell’ascensore, recitava ‘non sputare!’. Mi sembrava divertente. In Cina, nella Cina reale, non mi sarebbe sembrato più tanto divertente: lì si sputa sul serio… ma questa è un’altra storia.



La Chungking Mansion è un mostro di cemento collocato nel bel mezzo della città. Non è, come molti credono, un ostello. È un edificio formato da appartamenti privati, hotel e ostelli che ha la fama di essere il posto più low cost dove dormire ad Hong Kong. Ed è vero: in una città dove il prezzo medio di una stanza sfonda i 70€ qua puoi trovare un alloggio per 20€. Certo che devi essere preparato: la stanza doppia realmente è un’individuale scarsa, il bagno sarà grande come il wáter che, diciamolo tutto, ha la doccia incorporata. Guarda il lato positivo: puoi cagare mentre ti lavi!
Nella Chungking Masion vivono più du 4.000 persone, come nel mio paesino intero. 


E ad Hong Kong vivono più di 7.000.000 di persone: 6.604 abitanti per metro quadrato. La varietà étnica e religiosa è impresionante: il
21.3% è buddista, il 14.2% taoista, l’ 11.8% cristiano, il 3.1% musulmano e il 49.6% è credente di altre religioni e/ filosofie.  


Hong Kong è l’occidente in oriente e a differenza di Singapur sembra non dimenticarlo: è per questo che ci è piaciuta molto, per l’equilibrio tra aplomb britannico e tra cerminiosità e pragmaticità cinesi. Hong Kong è una città che si mangia, che si sente, che si cammina. E soprattutto è una città che non si dimentica. Torneremo, e questa volta senza febbre ;)

2 commenti:

  1. No spitting…ricordo ancora quante volte ho dovuto schivare sputi alla China Town di San Francisco ><

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    1. Hihihi! In Birmania mi sono beccata uno sputacchio rosso di betel sul polpaccio... orroreeeeee, devo ancora riprendermi :-p

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(*lo so che lo fai*)
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